PER UNA QUOTIDIANA EROTICA DELLO SPAZIO

 

 

 

Il vuoto della mistificazione spaziale è paura del contatto, un liberare spazio verso l’isolamento e la purezza. Il vuoto dell’erotica spaziale è - al contrario - spazio libero per contaminanti accadimenti concreti. La discriminazione di processi ideativi impulsivi si associa all’accettazione di uno spazio assoluto, estraneo al corpo, che lo media culturalmente facendone un’immagine appropriata, accettabile a livello sociale. Tale spazio “ideale” elude le aspettative del corpo erotico. Secondo Martin Heidegger: «L’uomo non è nello spazio come un corpo. L’uomo è nello spazio nel senso che dispone dello spazio, ha già sempre disposto dello spazio»[1]. La possibilità umana di “disporre” dello spazio, di intendere lo spazio come un sempre “a disposizione”, è un disconoscimento della nostra natura animale. L’uomo che non vuole essere un corpo, fa della propria concezione dello spazio astratto una questione di gusto (di “buon gusto”). Essa può nobilitarlo, distanziarlo da un’origine materiale. La sacralità dello spazio astratto - teatro privilegiato per un’idealizzazione dell’umano - aliena il quotidiano, lo priva di possibilità creative reali. Il suo fiorire non può che condurre ad un appiattimento dei contrasti immaginativi. Lo spazio astratto induce a fughe ideali che rendono il quotidiano un territorio di desideri irrealizzati ed irrealizzabili. La sua presenza è sostenuta da un’assenza profonda e misconosciuta, qualcosa di ormai remoto e dimenticato. Come sottolinea Henri Lefebvre: «Lo spazio astratto, strumento di dominio, soffoca tutto ciò che da esso tende ad uscire [...]. In quanto spazio mortale, esso uccide le proprie condizioni (storiche), le proprie differenze (interne) e ogni differenza (eventuale) in generale»[2]. Lo spazio astratto sterilizza o fagocita ogni novità aberrante che cova nel quotidiano, rende difficile la creazione di spazi attuali significativi (contrari - o quantomeno indifferenti - a suggestioni rappresentative). Il consacrarsi unicamente alle ideologie spaziali o, all’opposto, unicamente al vissuto immediato, privo di ogni riflessione sul proprio spazio, lascia libero gioco ai soliti difensori della dogmatica e della retorica spaziale, con le loro fissazioni, le loro idee stereotipate, i loro comportamenti predisposti. Il vissuto quotidiano viene così espropriato della possibilità di esperire in modo nuovo (per Giorgio Agamben è l’«incapacità di tradursi in esperienza che rende oggi insopportabile – come mai in passato – l’esistenza quotidiana»[3]). Se lo scopo implicito è il mantenimento dello status quo allora necessariamente la funzione corporea nello spazio è banalizzata, e l’abitare con essa. Come  suggerisce Raoul Vaneigem: «Noi siamo abitati: è da questo punto che bisogna partire»[4]. Uno spazio corporalmente funzionale (socialmente disfunzionale?) opera fuori dai giochi tipologici disciplinari e degli spazi elementari (che non sono più mezzi per la creazione ma fini). Producendo spazi nuovi ci si produce in modo nuovo. Affrontando lo spazio in un “corpo a corpo” appaiono qualità propriamente erotiche della spazialità. Il corpo che lotta e aggredisce lo spazio, che si fa spazio, può ritrovare nel fuori ciò che interiormente rimuove. In rapporto con lo spazio esterno, il corpo con le sue spazialità predispone ad uno spazio sensibilizzato, eccitato. Come suggerisce Jean-Luc Nancy: «Quando non sono i corpi a essere nello spazio, ma è lo spazio a essere nei corpi, allora lo spazio è spaziamento, tensione del luogo»[5]. Se il corpo - con i suoi pieni, i suoi vuoti, il loro rapporto con i pieni e i vuoti dell’intorno - è inteso nella sua pienezza rivoluzionaria, la sua creazione di spazio può essere un operatore per un cambiamento del sentire (e del sentirsi). È una contrapposizione basilare quella tra un pensiero ed un agire dello spazio legato al corpo e un pensiero ed un agire dello spazio ad esso slegato, tra spazi che si costruiscono dai corpi (per quanto differenti questi possano essere intesi: organici, inorganici, dis-organici...) e spazi che si costruiscono sui corpi. Come afferma Georges Bataille: «La sfera dell’erotismo è essenzialmente la sfera della violenza, la sfera della violazione»[6]. Nel caso dello spazio, un’erotizzazione dello stesso risponde alla violenza del suo “ordine” (astratto). Si oppone come violenza liberatoria (dionisiaca) per mezzo di articolazioni impreviste che ne trasgrediscono le aspettative ragionevoli. Nell’erotica spaziale la purezza è sempre instabile, sempre violabile. Il vuoto può diventare pieno e il pieno può diventare vuoto. Non più autonomi, il pieno attende il vuoto, il vuoto attende il pieno. Lo spazio erotico si carica di desideri e di eccessi. Si fa spazio di cose follemente sensibilizzate che ci ammaliano con una promessa di felicità immanente, turbando la nostra quieta percezione del mondo e riducendo, almeno in parte, l’abisso che oramai ci separa dal nostro fondamento corporeo.

 

 

 

NOTE

[1] Martin Heidegger, Corpo e Spazio. Osservazioni su arte – scultura – spazio, Genova, Il Melangolo, 2000, p. 33.

[2] Henri Lefebvre, La produzione dello spazio, Milano, Moizzi, 1978, p. 354.

[3] Giorgio Agamben, Infanzia e storia. Distruzione dell’esperienza e origine della storia, Torino, Einaudi, 2001, p. 6.

[4] Raoul Vaneigem, Commenti contro l’urbanistica (da IS n. 6, agosto 1961) in AA.VV., Situazionismo. Materiali per un’economia politica dell’immaginario, Bolsena, Massari, 2004, p. 95.

[5] Jean-Luc Nancy, Corpus, Napoli, Cronopio, 2007, p. 26.

[6] Georges Bataille, L’erotismo, Milano, ES, 1997, pp. 17-18.

 




«Sono un’organizzazione del vuoto. Così il mio sì è sempre cavo del mio no.
Così posso rivoltarmi come un guanto
»

(Bernard Noël, Estratti del corpo)
    Filippo
    Moretti 
    2011