MATRICE-CURVA: LA SPIRALE DI MARCELLO D'OLIVO A LIGNANO PINETA
  TRA SIMBOLOGIA ARCHETIPICA ED ORGANICISMO

 

 

 

La spirale è base geometrica e simbolo-guida capace di suggerire, per suo carattere intrinseco, un peculiare rapporto con la natura e l’esistente. Utilizzata nel progetto e nel piano per Lignano Pineta (1952-1956), la spirale diviene nella poetica di D’Olivo elemento ricorrente e significativo, tanto da essere impiegata in seguito - in modo alquanto diretto - nel concorso per il Centre Pompidou (1971). A Lignano tra la spirale del piano e gli edifici ideati e progettati vi sono rimandi evidenti, curvature ricorrenti. La prodigalità inventiva proietta le opere nello spazio circostante, le fa partecipare alla valenza dell’intorno[1]. D’Olivo spiega in questi termini la scelta progettuale della spirale per la città balneare: «Evidentemente non si possono costruire tutte le case in riva al mare: in omaggio a questo principio e all’intento di rispettare al massimo la natura, nasce l’idea della spirale: percorrendola, varia il raggio di curvatura, e quindi si ha sempre davanti il verde. Tutte le case devono essere arretrate di almeno 20 metri dalla strada per confondersi con la vegetazione»[2]. Il piano per Lignano Pineta di D’Olivo - insieme ad altri interventi dell’architetto per le marine adriatiche, quali quelli per Rosolina e Lido di Classe – è legato esclusivamente alle valenze naturali del territorio, tenta di ristabilire un equilibrio originario tra l’uomo e la natura. Il mare e la pineta presenti a Lignano sono significativamente elementi che accompagnano D’Olivo negli anni a venire, espressioni di fertili valori naturali. Il mare primigenio e la foresta vergine inducono a riflettere su un senso della natura differente da quello proposto dalla civiltà moderna. Come ci ricorda D’Olivo: «In riva al mare o nel cuore di una foresta dove gli effetti diretti e indiretti della produzione industriale non siano arrivati, noi anzitutto cogliamo un supremo equilibrio delle cose»[3]. L’opera di D’Olivo mutuando dalla cibernetica il principio di retroazione (feedback), si pone come un’architettura ri-equilibrante, cerca una nuova alleanza fra la natura e l’artificio. D’Olivo pone la progettualità architettonica quale mezzo per risolvere/superare l’antitesi arte-tecnica all’interno di una revisione complessiva del senso urbano. Egli si distanzia profondamente dall’ideologia della città europea, il suo è un rifiuto per la città tradizionale (che trova compimento con lo studio Ecotown del 1985-86). Più riflessione su possibilità inesplorate che fuga ideale dai problemi contingenti, l’impostazione di D’Olivo è prossima al senso dell’utopia delineato da Karl Mannheim, soprattutto se letta quale argine all’ideologia dilagante della città. Per Mannheim: «La scomparsa dell’utopia porta ad una condizione statica in cui l’uomo non è più che una cosa»[4]. In tal senso l’utopia è “vitale”, in quanto partecipante dei processi creativi e dinamici naturali, esattamente il contrario di ciò che accade nell’ideologia urbana, per la quale l’esistente deve cristallizzarsi staticamente, “mortalmente”, nell’immagine di interessi dominanti. Con l’opera di d’Olivo si viene a configurare già a Lignano un differente rapporto fra architettura ed urbanistica risolto da segni sinuosi ed estesi nel paesaggio, che è cifra di molte sue opere successive[5] (attitudine che lo porta ad una sempre maggiore ricerca di libertà in spazi incontaminati, inducendolo a progettare per lungo tempo in Africa[6]). Una pseudo spazialità naturale antistorica viene a sostituirsi ad una monumentalizzazione urbana del territorio. I piani di D’Olivo composti da linee curve sono in contrasto con gli insediamenti ortogonali della tradizione urbana occidentale. Questa discontinuità poggia sulla riflessione/comprensione, più o meno esplicitata, su temi cardini dell’identità occidentale stessa. Essi appaiono in tutta la loro evidenza nelle opere pittoriche di D’Olivo. Queste oscillano fra simbolismo arcaico e nuove realtà, nella ricerca di una possibile congiuntura degli estremi come possibile antropologia futuribile. Le sue opere richiamano alla mente tanto un espressionismo panteista anelante una condizione originaria, pura e primordiale (Franz Marc), quanto un surrealismo simbolico radicato in un sentire atavico-mitologico (André Masson). D’Olivo dipinge mitologemi, ricorrendo al tema del toro, di Teseo, del Minotauro e della figura femminile. Si lega indissolubilmente in tal modo - e non a caso - all’immaginario del contesto mitico cretese (dal quale si ha peraltro l’immagine di Dedalo, “primo architetto” della storia). D’Olivo riflette sul senso del Labirinto, luogo limite sulla soglia della cultura occidentale, luogo-frattura simbolico che sembra distinguere un prima e un dopo, un’antica civiltà sostanzialmente naturale da una civiltà più moderna e distaccata dalla natura. Per dirla in chiave architettonica, con le parole di Roger Caillois: «Misura, ragione, saggezza, armonia, queste qualità che descrivono il Partenone non hanno nemmeno la loro infanzia a Cnosso»[7]. Teseo a Creta porta i valori di una  nuova civiltà. Rodney Castleden nel suo libro Il mistero di Cnosso esemplifica chiaramente i ruoli nel mito del Labirinto: «Teseo, il ragazzo eroe proveniente da Atene, allo stesso tempo semidio, principe e vittima sacrificale, è la vigorosa giovane cultura del continente, il cui destino è di strappare il cuore della cultura minoica e di lasciare il resto in rovina [...] La principessa Arianna [...] È l’oscura e mutevole bellezza al centro del Labirinto: principessa, sacerdotessa, dea, amante [...] è il cuore della cultura minoica, rubato a Cnosso dalla neo-civiltà del continente greco [...] Arianna è l’archetipo intorno al quale tutto è imperniato. Essa rappresenta la caduta del Labirinto di Cnosso e l’incerto trasferimento di alcuni suoi valori culturali nel continente»[8]. L’uscita dal Labirinto è redenzione dall’elemento naturale totalizzante, percorso guidato nelle viscere della Madre Terra[9]. Come afferma Otto Rank, con Teseo si ha «la nascita dell’eroe in quanto ideale umano del mondo greco, in quanto uomo ormai «distaccato», libero dall’antica madre originaria»[10]. In questa prospettiva la madre originaria è la Dea Madre che pervade la preistoria dell’uomo, espressione del culto sacrale per la natura e per le sue manifestazioni. Ciò che, nell’ambito della questione naturale-femminile, rende particolarmente significativo il mito del Labirinto è che esso si colloca a Creta, ovvero, seguendo Riane Eisler, nell’«unica «grande» civiltà che si conosca in cui il culto della Dea sia sopravvissuto fino in epoca storica»[11]. Da questo deriva necessariamente che una riflessione sul Labirinto - su questa soglia - sia anche una riflessione sul rapporto fra cultura e natura (femminile) nelle sue varie espressioni. In D’Olivo sembra esservi un passaggio di piano, un’inversione semantica: non più la conquista-svelamento-comprensione del centro della tradizione mitologica ma un centro che si espande dinamicamente. Non si è più in presenza di un chiusura misterica ma di un mistero operativo, aperto, l’inverso di un’iniziazione labirintica razionale. Se il mito del Labirinto vuole arginare l’irrazionalità naturale, l’inversione della conquista dell’apollineo Teseo riapre la questione del superamento di questa condizione naturale totale e pone l’idea di una realtà fondata su nuove basi. In tal senso l’opera di D’Olivo può essere intesa come al contempo una sfida al “labirinto” cittadino e una resa al labirinto come fondamento naturale. Come ricorda Károly Kerényi: «Le forme semplici del labirinto (la spirale, il meandro e il tipo di Tragliatella) sono nate in epoca preistorica»[12]. Il Labirinto è mito arcaico il cui simbolo originario di riferimento è la spirale preistorica. È dunque anche in questo senso che la spirale di Lignano Pineta di D’Olivo è strettamente correlata al senso della poetica pittorica “labirintica” di D’Olivo (oltre alla significativa relazione fra sentite espressioni creative di un medesimo autore). Il primo labirinto, il proto-labirinto, è il serpente-spirale. Come afferma Franz Baumer: «Oltre al serpente, l’animale della Madre Terra, anche il labirinto, uno dei simboli più antichi di morte e rinascita, ricorda la spirale»[13]. A Creta, con la sua triade toro-serpente-labirinto - i giochi con i tori, i serpenti e le sacerdotesse, il Labirinto di Cnosso – continua a ripresentarsi la triade corna-serpente-spirale fondamentale nell’immaginario preistorico. Come sottolinea Marija Gimbutas: «Le spirali compaiono nelle grotte del Paleolitico Superiore associate con forme serpentine, zig-zag, falci di luna e cervidi o bovini con corna a forma di falce di luna [...] Queste associazioni continuano in seguito per millenni. I segni delle corna, del serpente e della spirale, sono virtualmente inseparabili»[14]. Creta e il suo Labirinto sembrano essere l’apice estremo della visione sacrale preistorica basata su di una simbologia vitale e dinamica dell’esistente[15]. La spirale è alla base delle forme naturali della crescita, dello sviluppo, dell’evoluzione. In ambito scientifico ritorna la spirale (elica) nel DNA, che contiene la sostanza genetica degli esseri viventi. A Lignano il centro è luogo della spirale dinamica che organizza il territorio urbano, e in villa Mainardis - in certo modo riproposto in scala architettonica - il centro è occupato dalla scala-spirale (elica) ascendente/discendente. La spirale unisce principio e fine, introversione ed estroversione. Ingrid Riedel sottolinea che «ogni spirale è già in sé una doppia spirale, facendosi leggere sempre nello stesso tempo da dentro e da fuori, come segno di estroversione, di conquista del mondo, come anche da fuori a dentro, come segno di introversione, di ritorno al centro»[16]. La spirale, come aspetto dinamico di Vita-Morte, nascita dalla Terra e ritorno ad essa, è un “attributo” femminino-vitalistico della Dea Madre[17], il cui culto si esplicita anche nella preservazione/protezione della Terra. Nel periodo Megalitico il principio protettivo e il principio dinamico sono ben visibili nella presenza dei tumuli (pseudo-grotte) e delle decorazioni spiraliformi ad essi connessi. Essi compongono ancora una unità pressoché inscindibile (totalità del Femminile). La poetica di D’Olivo pare in bilico fra megalitismo e civiltà dell’avvenire, è come coinvolta in un sentire naturale originario ma al contempo rivolta ad un futuro libero da condizionamenti. Questo intento creativo sembra avere affinità con il principio dionisiaco sostenuto da Friedrich Nietzsche e con la sua sacralizzazione di aspetti spontanei, liberi ed istintivi. Riguardo alla questione del Femminile, si può dire che Nietzsche tenti discindere il movimento vitalistico naturale e dinamico (labirinto-spirale, potenza femminile) dalla natura statica ed eterna (grotta-grembo, protezione femminile). In Ecce homo Nietzsche si definisce come «il primo psicologo dell’Eterno Femminino»[18]. Con Nietzsche il Femminile (Arianna) è congiunto a Dioniso e induce ad una differente relazione con la potenza dell’Archetipo Materno. Come afferma Johann Jakob Bachofen: «Dioniso si è rivelato anzitutto alla donna [...] Sulla donna egli ha fondato la sua sovranità»[19]. Dioniso si appropria del potere creativo femminile[20]. La sua non è una distruzione del femminile, non vi sovrappone un altro potere. Non induce ad un disconoscimento del femminile, ma ad un incremento di potenza per mezzo dell’ebrezza. Tutto si fonda ancora sulla natura, ma come lanciata verso l’alterità. L’evoluzione tecnologica della natura fondativa presente negli intenti progettuali generali di D’Olivo è sia una modalità per riconoscere il valore della natura stessa, che un modo per condurla verso un suo potenziamento, quasi illimitato. È in questo senso che l’opera di D’Olivo si avvicina al principio dionisiaco. Dioniso è, usando le parole di Pierre Klossowski, «figura suprema dell’incessantemente possibile»[21]. Come afferma Gilles Deleuze: «Dioniso-toro è l’affermazione pura e multipla, la vera affermazione, la volontà affermativa»[22]. Sempre seguendo Deleuze: «Arianna è il primo segreto di Nietzsche, la prima potenza femminile, l’Anima, la sposa inseparabile dell’affermazione dionisiaca. Di tutt’altra specie è la potenza femminile infernale, negativa e moralistica, terribile madre del bene e del male che svaluta e nega la vita»[23]. Dioniso è la vita rigogliosa, irrefrenabile. La sua potenza, per farsi sempre incrollabile, elude la fonte da cui sgorga, la nascita, il fondamento, l’abisso (materno)[24]. La femminilità viene svincolata dal ricettacolo protettivo al fine di evitarne il potere limitante, soprattutto la sua possibile tendenza a divenire potere tradizionale, a confondersi con il potere della tradizione. In questo senso si potrebbe parlare di una potenza virtuale-liberatoria della spirale, generativa ed incommensurabile, che quasi viene ad opporsi - pur da una medesima origine - ad un potere sistemico-tradizionale del tumulo, fondativo e misurabile. Una certa propensione dionisiaca sembra presente in molta architettura organica. L’intento di fondamento naturale e suo dispiegamento potenziante trova chiara formulazione architettonica, spiraliforme, in quello che probabilmente può essere considerato come l’esempio massimo dell’architettura organica mondiale: il Guggenheim di Frank Lloyd Wright. L’opera di D’Olivo è profondamente influenzata dal maestro americano[25]. Wright, ispirato da Ralph Waldo Emerson, ricerca una valorizzazione della natura congiunta ad una sua elevazione. Il trascendentalismo emersoniano precede e prepara il dionisiaco potenziamento nietzschiano. Nietzsche è stato un attento lettore di Emerson, da questi ha colto l’attenzione (americana) per una  Natura intesa come potenza in atto alla quale l’uomo partecipa[26]. Tuttavia se in Emerson si pone una Natura “trascesa” e alla base del valore - «è la natura che certifica la sovranatura»[27] - in Nietzsche la Natura viene eccitata ed indotta ad un suo superamento, è il superamento stesso che dona valore. In senso architettonico si potrebbe leggere il rapporto Wright-D’Olivo come in parte una riproposizione di quello Emerson-Nietzsche. Se interpretato soprattutto dalla prospettiva del potenziamento tecnologico in architettura, e delle sue implicazioni sull’equilibrio armonico della natura, Wright appare maggiormente moderato, più radicato ad un sentimento ragionevole dell’umano. Ciò non significa che D’Olivo non abbia a cuore l’equilibrio naturale - che in effetti è tema centrale nella sua opera - ma questo equilibrio tende quasi ad essere ri-creato dalla potenza inventiva, per poi venir fatto circolare nuovamente in modo pseudo-naturale, come nel principio dionisiaco (anche Wright in parte è legato a tale principio, ma il suo ri-creare sembra rivolgersi più all’anima della natura che non all’equilibrio della natura). Più in generale, ciò che induce lo spostamento è la prospettiva dell’agente creativo, il suo rapporto con il tutto. Pierre Klossowski ci ricorda che «nella natura di Nietzsche l’atto del creare non può che affrettare il suo decentramento»[28]. La posizione di Nietzsche comporta una eccentricità della potenza creativa che intensifica il carattere di fondo del rapporto uomo-natura. Come afferma nel libro I gradi dell’organico e l’uomo Helmuth Plessner: «L’eccentricità della posizione si può determinare come una condizione in cui il soggetto vivente sta in relazione indirettamente diretta con il tutto»[29]. Da ciò deriva la capacità umana di considerare la Natura nella sua interezza, di riconoscervi relazioni simboliche molteplici, estendibili indefinitamente. Il senso di grembo naturale inteso come creatore dinamico può così passare dagli antri contenitivi animali sino alle curve dell’universo. Esemplificazione teorica di una visione dinamica-evolutiva della natura e del cosmo, con la sua lotta contro la metafisica come distinzione Natura-Spirito, è la filosofia organica di Alfred North Whitehead. Anche in questo caso l’aspetto creativo, riproposto in senso cosmico, si difende da possibili determinazioni vincolanti[30]. Per Whitehead il simbolismo, connaturato all’umano - «immanente al tessuto stesso della vita umana»[31] - non deve ridurne le potenzialità. La percezione diretta e l’eredità dei sentimenti data dal riferimento simbolico formano una “sorgente”, un binomio basico critico. Afferma Whitehead: «Il simbolismo può essere giustificato, o ingiustificato. La prova della giustificazione deve essere sempre pragmatica [...] se i sentimenti che scaturiscono dalle due sorgenti si esaltano reciprocamente nella sintesi, il riferimento simbolico è giusto, ma se sono in disaccordo in modo da deprimersi reciprocamente, il riferimento simbolico è sbagliato».[32] Potremmo applicare in senso architettonico questa affermazione ed utilizzarla nel caso specifico della spirale in D’Olivo. Ciò che sembra discriminare l’uso “legittimo” o “illegittimo” del simbolo della spirale è il suo radicarsi o meno in un sentire originario, il suo appartenere o meno ad un moto interiore partecipante al senso creativo della spirale stessa. Essa è sintesi organica del ritmo della vita[33] e dell’espansione della natura[34]. Erroneo sarebbe intenderla come una immagine portatrice indipendente di significato. D’Olivo tenta, quasi come possibile preservazione di immediatezza, di schivare le interpretazioni simboliche della sua opera, preferendo sottolinearne gli aspetti tecnico-funzionali. A differenza delle spirali relegate nei giardini (o nelle chiese) di epoca storica che, rimandando ad un senso perduto della natura, si pongono come luoghi misterici distaccati simbolicamente dall’intorno, la spirale di Lignano dialoga con il contesto ed intende determinarlo. Non è più la spirale, significante ma spesso depotenziata, della tradizione storica. È come una operante spirale della natura vitale. Compenetrata dall’intorno naturale, ne è come parte integrante. È utile in questo senso ricordare che per Whitehead: «Non è possibile alcuna esistenza locale distaccata e autonoma» poiché l’«ambiente entra nella natura di ogni cosa»[35]. La filosofia organica antidualistica di Whitehead offre all’architettura organica basi teoretiche per porre le opere come parti di una natura più ampia, totalizzante, per arrischiarle in un processo di mutamento creativo dell’esistente. Poiché «nessuna entità può esser considerata facendo astrazione dall’universo»[36] - un universo inteso in divenire - per Whitehead il «conservatore puro lotta contro l’essenza dell’universo»[37]. Come suggerisce Edward Frank «il problema delle relazioni fondate su una concezione del cosmo come entità statica ha una soluzione interamente diversa da quello fondato sulla dinamicità del cosmo; di conseguenza, sono diversi i metodi intellettuali e gli effetti architettonici che ne derivano»[38]. Per questo, sempre secondo Frank, «le costruzioni organiche vanno lette non come entità statiche estranee alle pressioni formative, ma come la fase estrema di un processo morfogenetico universale correlato»[39]. Per l’esplosività e l’uso quasi ossessivo della linea curva, la prassi architettonica di D’Olivo può essere avvicinata a quella espressionista-organicista di Erich Mendelsohn. Egli è l’architetto di Albert Einstein - dell’Einsteinturm (istituto astrofisico di Potsdam) – e, più in generale, è debitore nella sua poetica della nuova visione del cosmo proposta dal fisico tedesco. In Pensiero einsteiniano e architettura Bruno Zevi afferma: «La lezione di Einstein coincide con quella dell’architettura organica in chiave filosofica, scientifica e creativa. Perché, da un lato, relaziona l’edificio, lo spazio-tempo e l’esistenza umana al contesto ecologico, alla globalità dei fenomeni; ma, dall’altro, ne propugna la libertà, l’esuberante dispiegamento, il coraggio inventivo»[40]. In D’Olivo è tutto un proliferare di spirali, ellissi, curve. La sua è una lotta, paragonabile a quella di Mendelsohn e con simile intento quasi cosmico, per liberare lo spazio dalle costrizioni ortogonali della tradizione architettonica classica[41]. D’Olivo è interessato alle geometrie “labirintiche” non euclidee e allo spazio “curvato”[42] (cui espressive esaltazioni tridimensionali sono le flessioni dei setti verticali del complesso residenziale e alberghiero Zipser a Grado del 1960-64 e del complesso scolastico a Gorizia del 1987-91). La curvatura dello spazio, alla luce della teoria della relatività, non si pone come dovuta ad un moto interno o esterno. Se leggiamo tale indeterminazione nell’ottica delle curve “protettive” della natura - e dell’architettura - appare evidente che esse non sono più strettamente l’espressione di un dentro (materno) contrapposto ad un fuori. L’interiorità non si contrappone all’esteriorità, entrambe compartecipano di un sentimento spaziale universale curvato, labirintico. La curvatura consente un confronto diretto, non mediato, con il caos naturale primordiale, con una spazialità totalizzante nascosta da un’architettura urbana acquietante (ortogonale). Come ci ricorda Leonardo Sinisgalli, amico e mentore di D’Olivo, «la forma naturale del nido è la placenta [...] la presenza di spigoli, di angoli, e quindi il cubismo, è un carattere dell’architettura coltivato, nientaffatto istintivo»[43]. In D’Olivo vi è come una totale e universale curvatura virale dell’abitare associata ad un desiderio di pseudo-naturalità originaria (istintivo-dionisiaca). La spirale, presente come centrale moto fisico e forma nella natura, è incontro di due istanze, fisiche e psichiche, macro-universali e micro-istintuali. Per Marie-Louise von Franz: «Il mondo di psiche e materia è il medesimo, e l’una partecipa dell’altra, altrimenti l’interazione sarebbe impossibile. Si dovrebbe perciò arrivare [...] a una concordanza ultima tra i concetti fisici e psicologici»[44]. Seguendo la prospettiva junghiana, gli archetipi sono in stretto rapporto con i moti istintivi presenti nell’essere vivente. Per Carl Gustav Jung: «Niente ci impedisce di ammettere che determinati archetipi esistano già negli animali, e che di conseguenza siano radicati nella natura propria del sistema vivente»[45]. Sempre secondo Jung: «Si potrebbe definire appropriatamente l’immagine originaria come intuizione che l’istinto ha di sé stesso o come autoraffigurazione dell’istinto»[46]. Gli archetipi sono «immagini inconsce degli istinti stessi, in altre parole [...] “modelli di comportamento istintuale”»[47]. Se la natura vivente presenta spesso la spirale come forma della sua espansione, l’istinto ricalca tale propensione poiché, come afferma Henri Bergson nel suo libro L’evoluzione creatrice, «l’istinto altro non fa se non continuare il lavoro con cui la vita organizza la materia»[48]. In tal senso il simbolo della spirale è come immagine mentale di un moto fisico, un istinto motorio, simile a quello che induce gli animali a costruire in modo spiraliforme. Per mezzo della creazione a spirale l’uomo realizza coscientemente, attraverso il filtro del simbolo o del mito, un’operazione per la quale, secondo natura e seguendo un istinto vitale, è forse predisposto. L’esempio della spirale in D‘Olivo è dunque traccia mirabile di quella ricerca di unità dell’uomo con la natura, e dell’uomo con la propria natura, che secoli di civiltà hanno più o meno consapevolmente confinato, relegato, in un Labirinto oscuro.

 

 

 

NOTE                                                                                                                                                      

[1] Le case a Lignano Pineta sono elementi che compartecipano del disegno complessivo e collaborano ad esaltarne in modo inventivo l’impostazione di base. Come suggerisce Andrea Bruciati nel suo saggio su D’Olivo, esse sono come: «Astronavi nel verde, abitazioni del domani in una città lunare edificata dinanzi al mare» (Andrea Bruciati, Natura ed artificio: dalla forma primigenia all’utopia futuribile in AA.VV., Marcello D’Olivo. Architettura e Arte, Milano, Mazzotta, 2002, p. 35).

[2] Marcello D’Olivo, 1948-1971, Udine, Casamassima, 1972.

[3] Marcello D’Olivo, Discorso per un’altra architettura, Udine, Casamassima, 1972, p. 17.

[4] Karl Mannheim, Ideologia e utopia, Bologna, Il Mulino, 1974, p. 278.

[5] Paola Di Biagi così evidenzia il rapporto di D’Olivo con l’idea di città storica: «Da utopista egli si è allontanato dai contesti preesistenti – i suoi progetti di città non sono mai informati da minuziose analisi dello stato di fatto e non ne vengono da queste influenzati, sono semmai ispirati da grandi segni del territorio, la linea di costa, l’ansa di un fiume, le curve di livello – e come su una tabula rasa egli ha pre-figurato una città futura, libera da condizionamenti» (Paola Di Biagi, Da Lignano a Ecotown: il disegno di un’utopia in AA.VV., Marcello D’Olivo. Architetto, Milano, Mazzotta, 2002, p. 12).

[6] D’Olivo, a proposito della sua esperienza Africana, afferma: «Osservando quei paesaggi, parlando con i suoi abitanti, utilizzando la fantasia, si riesce a trovare quell’armonia logica di cui tutta l’umanità oggi ha tanto bisogno» (Marcello D’Olivo, Ecotown in Marcello D’Olivo, Piero Mainardis de Campo, Ecotown, ecoway. Utopia ragionata, Milano, Rusconi, 1986, p. 10).

[7] Roger Caillois, Il mito e l’uomo, Torino, Bollati Boringhieri, 1998, p. 87.

[8] Rodney Castleden, Il mistero di Cnosso. Storie del labirinto, Genova, ECIG, 1992, pp. 260-261.

[9] Come fa notare Jacques Attali nel suo Trattato del labirinto: «Se c’è un’immagine che il bambino conserva dei nove mesi in utero, è quella del labirinto materno. Gli anfratti, la caverna, la grotta, metonimie del labirinto, sono anch’essi simboli della madre, immagini di femminilità e fecondità» (Jacques Attali, Trattato del labirinto, Milano, Spirali, 2003, p. 143).

[10] Otto Rank, Il trauma della nascita e il suo significato psicoanalitico, Rimini, Guaraldi, 1972, p. 150.

[11] Riane Eisler, Il Calice e la Spada. La civiltà della Grande Dea dal Neolitico ad oggi, Udine, Forum, 2012, p. 62.

[12] Károly Kerényi, Nel labirinto, Torino, Boringhieri, 1983, p. 93.

[13] Franz Baumer, La grande madre. Scenari da un mondo mitico, Genova, ECIG, 2003, p. 83.

[14] Marija Gimbutas, Il linguaggio della Dea. Mito e culto della Dea Madre nell’Europa Neolitica, Vicenza, Neri Pozza, 1997, p. 279.

[15]Tale vitalità originaria con il trascorrere del tempo va de-potenziandosi. Secondo Carlo Sini «le figure e i disegni preistorici [...] si confinano via via in una specializzazione espressiva, orale e poi soprattutto scritta, che ne irrigidisce e ne inaridisce l’aura» (Carlo Sini, Il sapere dei segni. Filosofia e semiotica, Milano, Jaca Book, 2012, p. 36). L’aura è in relazione stretta con un sentire vitale. Per Sini «il movimento della vita eterna è la sostanza dell’aura. Di questo «movimento» l’agente, proprio in quanto movimento dell’aver da essere, percepisce l’infinita e-mozione (l’infinito esser mosso): emozione dell’essere in vita, emozione del sentimento eterno della vita, della sua presenza onnicomprensiva» (Ibid., p. 68).

[16] Ingrid Riedel, Forme. Cerchio, croce, triangolo, quadrato, spirale: figure geometriche e tipi psicologici, Como, Red, 1996, p. 121.

[17] Come afferma Erich Neumann: «l’Archetipo del Femminile non è solo quello che dà e protegge la vita, ma, come contenitore è anche quello che trattiene e riprende, divinità al tempo stesso della vita e della morte» (Erich Neumann, La Grande Madre. Fenomenologia delle configurazioni femminili dell’inconscio, Roma, Astrolabio, 1981, p. 53).

[18] Friedrich Nietzsche, Ecce homo. Come si diventa ciò che si è, Roma, TEN, 1993, p. 57.

[19] Johann Jakob Bachofen, Il matriarcato. Ricerca sulla ginecocrazia del mondo antico nei suoi aspetti religiosi e giuridici, Torino, Einaudi, 1988, p. 601.

[20] Come afferma Federica Negri: «Possiamo sicuramente interpretare la vicenda di Dioniso [...] come una chiara trasposizione di un movimento di appropriazione della caratteristica più inimitabile del femminile, ossia la capacità generativa [...] La veloce sequenza di inglobamento del femminile che è descritta dal mito non rende però Dioniso autonomo da questo principio, ma paradossalmente ancora più legato alla necessità di completare la propria generazione anche a partire dal femminile, passando realmente attraverso l’alterità» (Federica Negri, Ti temo vicina, ti amo lontana. Nietzsche, il femminile e le donne, Milano-Udine, Mimesis, 2011, p. 70).

[21] Pierre Klossowski, Nietzsche, il politeismo e la parodia, Milano, SE, 1999, p. 83.

[22]Gilles Deleuze, Mistero di Arianna secondo Nietzsche in Critica e clinica, Milano, Raffaello Cortina, 1996, p. 135.

[23] Gilles Deleuze, Nietzsche e la filosofia, Torino, Einaudi, 2002, p. 32.

[24] Seguendo Karl Kerényi, Dioniso non fu «mai e in alcun luogo una divinità della nascita. Nel suo mito non c’è posto per una nascita normale. Egli ha ben poco a che fare con il parto delle donne; assai più ha a che fare con il rigoglio in esse della pienezza vitale» (Karl Kerényi,Dioniso. Archetipo della vita indistruttibile, Milano, Adelphi, 1992, p. 136).

[25] Rapporti sembrano esistere anche con l’opera di Paolo Soleri, per la sua idea di nuovi sistemi urbani collocati in ambienti naturali estremi. Nell’ambito dell’organicismo italiano alcune idee di D’Olivo sono prossime a quelle di Vittorio Giorgini (strutture morfologiche nella natura) e a quelle di Sergio Musmeci (tecnologia quasi biologica del costruire).

[26] Come suggerisce Benedetta Zavatta: «Non si tratta di riportare idealmente vittoria su di una natura ostile grazie alla superiore dignità conferita dalla ragione, quanto piuttosto di scoprirsi parte di essa e di assorbirne la potenza. Su questo punto Emerson offre alla riflessione nietzscheana stimoli del tutto inediti rispetto alla tradizione di pensiero europea» (Benedetta Zavatta, La sfida del carattere. Nietzsche lettore di Emerson, Roma, Editori Riuniti, 2006, pp. 82-83).

[27] Ralph Waldo Emerson, Il poeta in Natura e altri saggi, Milano, BUR, 1998, p. 171.

[28] Pierre Klossowski, Nietzsche e il circolo vizioso, Milano, Adelphi, 1981, p. 290.

[29] Helmuth Plessner, I gradi dell’organico e l’uomo. Introduzione all’antropologia filosofica, Torino, Bollati Boringhieri, 2006, p. 347.

[30] Riflettendo sulla filosofia di Whitehead, Enzo Paci afferma: «l’interrelazione universale non va spiegata fondandosi su uno dei suoi elementi, su uno dei suoi termini. I termini ci sono perché c’è la relazione e non viceversa [...] Le forme come pure forme possibili sono senza relazione, come le Madri del Faust» (Enzo Paci, Relazione forma e processo in Il filosofo e la città. Platone, Whitehead, Husserl, Marx, Milano, Il Saggiatore, 1979, pp. 51-52).

[31] Alfred North Whitehead, Simbolismo, Milano, Raffaello Cortina, 1998, p. 54.

[32] Alfred North Whitehead, Il processo e la realtà, Milano, Bompiani, 1965, p. 360.

[33] «Il modo del “ritmo” pervade tutta la vita» (Alfred North Whitehead, La funzione della ragione, Firenze, La Nuova Italia, 1968, p. 25).

[34] «L’aspetto generale della natura è quello dell’espansione per evoluzione» (Alfred North Whitehead, La scienza e il mondo moderno, Torino, Bollati Boringhieri, 2001, p. 110).

[35] Alfred North Whitehead, Natura e vita, Milano-Udine, Mimesis, 2012, p. 31.

[36] Alfred North Whitehead, Scienza e filosofia, Milano, Il Saggiatore, 1966, p. 118.

[37] Alfred North Whitehead, Avventure d’idee, Milano, Bompiani, 1997, p. 349.

[38] Edward Frank, Pensiero organico e architettura wrightiana, Bari, Dedalo, 1978, p. 29.

[39] Ibid., p. 69.

[40] Bruno Zevi, Pensiero einsteiniano e architettura in Pretesti di critica architettonica, Torino, Einaudi, 1983, p. 324.

[41] Il figlio di Marcello D’Olivo ricorda un proposito del padre: «Quei cubi rettangolari in cui siamo abituati a vivere, vanno sovvertiti, rompendo gli angoli e liberando lo spazio, perché la parete serve a differenziare, non a confinare e nascondere» (Antonio D’Olivo, Mio padre, tra Roma e Baghdad in AA.VV., Marcello D’Olivo. Architetture e progetti 1947-1991, Milano, Electa, 1998, p. 99).

[42] «Le curve dei suoi angoli erano anche dettate dalla sua passione per l’universo. Amava guardare il cielo di notte. “Il nostro è un universo disponibile”, diceva e poi aggiungeva: ”La vista del cielo stellato mi dà la nausea per la sua infinita immensità, per la sua curvatura...”» (Ibid., p. 100).

[43] Leonardo Sinisgalli, L’architettura ovvero la Fenice in Promenades architecturales, Bergamo, Lubrina, 1987, p. 34.

[44] Marie-Louise von Franz, Psiche e materia, Torino, Bollati Boringhieri, 1992, p. 70.

[45] Carl Gustav Jung, Psicologia dell’inconscio, Torino, Boringhieri, 1978, p. 120.

[46] Carl Gustav Jung, La dinamica dell’inconscio, Torino, Boringhieri, 1980, p. 154.

[47] Carl Gustav Jung, Il concetto d’inconscio collettivo, Torino, Bollati Boringhieri, 2002, p. 71.

[48] Henri Bergson, L’evoluzione creatrice, Milano, Raffaello Cortina, 2002, p. 138.

 




«Nell’occhio tuo guardai, or non è molto, o vita! E mi parve di sprofondare nel senza-fondo.
Ma tu mi riportasti a galla con lenza d’oro;
ironicamente ridevi, perché ti avevo chiamata senza-fondo
»

(Friedrich Nietzsche, Così parlò Zarathustra)
    Filippo
    Moretti 
    2012