L’ABITARE LA ROCCIA IN PAOLO SOLERI.
  ARCAISMO ED ESCATOLOGIA

 

 

 

L’architettura di Paolo Soleri presenta un accentuato aspetto di arcaismo, quale richiamo a caratteri architettonici di civiltà arcaiche e/o primitive, coniugato ad una costante attenzione all’escatologia, all’indagine sul destino ultimo del genere umano e dell’universo. In particolare Soleri si rifà esplicitamente alle teorie evolutivo-teologiche del paleontologo Pierre Teilhard de Chardin, secondo le quali l’attività riflessiva dell’umano va a costituire una “sfera pensante” (Noosfera) che si sovrappone in modo coestensivo alla biosfera. Per Teilhard de Chardin il destarsi del Pensiero nella specie umana riguarda la Vita stessa (nella sua totalità organica) e definisce una “trasformazione di stato” per l’intero pianeta. Considerando l’uomo come principale sforzo evolutivo della Terra, Teilhard de Chardinipotizza una trasformazione della materia in spirito, come costante tensione evolutiva verso un massimo livello di complessità e coscienza (Punto Omega). Similmente Soleri concentra i suoi forzi ideativo-creativi nella sottolineatura di quella “materia che diviene spirito”, immaginandola costantemente condotta in questo percorso da, secondo le parole dello stesso Soleri, una «spirale ininterrotta che ha portato lo spirito fuori dalla pietra»[1]. Non a caso l’abitare la pietra, l’abitare la roccia, divengono elementi significativi e ricorrenti nel percorso ideativo di Soleri. La materia rocciosa viene coinvolta in una estrema indistinzione natura-artificio, partecipa alla creazione di un nuovo ambiente pseudo-naturale, proiettato verso l’avvenire. La pietra, la roccia, sono elementi che bene esprimonol’immobilità del mondo naturale non vivente, che Soleri intende muovere, evolvere, verso il più “complesso” principio del vivente. Le opere architettoniche di Soleri intendono infondere vita alla materia inanimata per mezzo di un processo - “vitale” - di complessificazione.

Nato in Italia, Soleri diviene architetto dei deserti americani, ne esprime e intensifica il carattere. Sommamente sensibile alla terra, al vento, alla luce dei deserti, la sua ricerca si nutre delle stesse potenti forze che hanno nutrito e ispirato le creazioni dei nativi americani. È spesso evidente nelle architetture di Soleri un rapporto con le opere arcaiche degli indiani del Nord America, in particolare gli insediamenti dei Pueblo Ancestrali (Anasazi), realizzate in Arizona, Colorado, New Mexico, Utah. In essi Soleri trova affinità ideative e fonte di ispirazione. Sono architetture legate alla roccia, alla rupe, realizzate nelle pareti di canyon calcarei. Sono costruzioni in rupi vertiginose in rapporto con l’immenso cielo del deserto, allineate secondo determinati fenomeni astronomici. Manifestano una simbiosi di natura e cultura, di rocce e abitazioni. Non vi è una netta frattura fra l’antropico e il naturale. Tutto partecipa al mondo della materia. In riferimento agli Hopi (gli attuali discendenti dei Pueblo Ancestrali), è significativo quanto scrive, nel suo libro su Soleri, Francesco Ranocchi: «il mito che “illustra” la luce come simbolo della coscienza è presente tra gli indiani del Nord America, come è esemplificato da un rito degli indiani Hopi, che abitano i territori dove vive Soleri. Dopo essersi raccolti nella Kiwa, una stanza totalmente interrata, per purificare il corpo, emergono dalla reclusione con il sole nascente […] per gli Hopi tutto è terra, nei simboli dell’uomo d’argilla e della donna d’argilla e la terra si trasforma in tutto. Idee forti, paragonabili direttamente al concetto di trasfigurazione che guida Soleri nel suo modello filosofico»[2]. Il termine ‘uomo’ in latino è legato a humus: suolo, terra, terreno. Noi siamo umani in quanto terreni, nati dall’humus (anche in ebraico è possibile trovare un parallelismo tra il termine ‘uomo’ e il termine ‘terra’). Questo aspetto, questo rapporto, è richiamato in modo radicale dalle opere dell’artista Charles Simonds. Nell’opera Landscape<>Body<>Dwelling del 1974 il corpo dell’artista si fa paesaggio e fondamento terroso per l’edificazione di una piccola dimora immaginaria. Un riferimento, quasi letterale, alle architetture dei Pueblo Ancestrali viene proposto da Simonds nelle opere Dwellings, degli anni Settanta. Realizzate nelle pareti urbane - come fossero montagne naturali - per un immaginario popolo di piccoli migranti, esemplificano il contrasto tra l’abitare la materia e la natura in senso arcaico e l’imperiosa verticalità capitalista dei grattacieli moderni, che non hanno quasi più rapporto con il fondamento naturale. Questo contrasto, tra un produrre (anche architettonico) in comunione con la natura e un produrre in maniera adessa indifferente, è un tema spesso affrontato da Soleri. Le sue riflessioni sull’abitare la terra e la roccia iniziano già alla fine degli anni Quaranta. Nel 1948, dopo aver lasciato Taliesin West e Frank Lloyd Wright, vive per otto mesi sulle pendici del monte Camelback in Arizona (nord-est di Scottsdale) e progetta le Arizonian Houses, nelle quali natura e architettura si con-fondono. Le Arizonian Houses sono idee di architetture quasi tribali, che richiamano le abitazioni tradizionali degli antichi popoli dell’Arizona, parzialmente interrate nella roccia e aperte alla luce del sole. Segue per Soleri una breve parentesi italiana. Di questa fase è il progetto Convivium (1952), una ipotesi di residenze per la Costiera amalfitana che investe il territorio con piani inclinati, terrazzamenti e celle abitative innestate nel declivio verso il mare. A Vietri sul Mare - dove realizza anche la Fabbrica di ceramiche Solimene - Soleri impara le tecniche di lavorazione della ceramica. Crea costantemente negli anni ceramiche, spesso conformate direttamente nella terra, nel suolo. Le forme libere delle sue campane uniscono la fisicità della materia con la spiritualità del vento (come materia che evolve in spirito). Riferimenti formali alle ceramiche a carattere quasi primitivo sono presenti nelle opere architettoniche di Soleri, che spesso ricordano vasi innestati nelle rocce, nelle montagne, nei paesaggi. Il vaso, nella sua accezione più ampia, si fa in Soleri quasi esemplificazione della protezione “aperta” del vivente. Compresenza di chiusura ed apertura, di una centralità” anti-retorica del vivente. Elementi non isolati e chiusi in se stessi, piuttosto sacralizzati e sacralizzanti nella loro intenzione di “intensificazione” vitale del non vivente. Così nelle architetture di Soleri vi è spesso un simil-biologico proliferare di geometrie sferoidali, in rapporto di reciproco arricchimento. Il tutto a partire da una profonda comprensione e valorizzazione, in chiave evolutiva, del fondamento materiale terreno sul quale l’architettura si trova ad operare. Del 1956 sono gli edifici di Cosanti in Arizona, nella Paradise Valley. Sono opere parzialmente interrate, realizzate in stretta comunione con il terreno, secondo il procedimento dell’earthcasting. Costruita per colatura di cemento in forme di terra, Cosanti è modellata a contatto diretto con il terreno, per “coglierne” la natura, per sviluppare la plasticità implicita nella materia. Cosanti nelle intenzioni di Soleri si pone come una “anti-cosa”. Soleri vuole sottolineare che ci sono aspetti più importanti degli ‘oggetti’. In questo senso è significativo ciò che afferma nel suo testo La scultura terra: «L’uomo moderno, come nessun altro prima, accumula impressionanti quantità di non-entità artificiali su tutta la terra […] con la pala o col bulldozer noi abbiamo trasformato e stiamo trasformando la terra. È spesso più un deturpamento che una trasfigurazione. Le società meno dotate di potere hanno fatto o fanno un lavoro di gran lunga meno dannoso […] e compiono anche molte trasfigurazioni appaganti»[3]. Nell’idea quindi di una trasfigurazione, di una trasmutazione complessiva della Terra, Soleri via via realizza disegni di studio per spazi scavati nelle rocciose pareti scoscese dei canyon. Non più ‘oggetti’ architettonici isolati, ma continuità tra i paesaggi del naturale e dell’artificiale, verso un nuovo sistema al contempo naturale e antropico, in evoluzione. L’architettura si fa territorio, verso una indistinzione - quasi una identità - tra natura ed artificio. Per Giancarlo De Carlo, l’architettura di Soleri è «un eccezionale stimolo a ripensare a fondo il significato dell’ambiente come rapporto continuamente mutevole, che non smette mai di dissolversi e ricomporsi nel tempo, tra artefici ed eventi naturali […] finché l’artefatto appare come natura e la natura, svelata dall’artefatto, riacquista la sacralità che un tempo gli esseri umani le attribuivano»[4].

Punto di approdo della ricerca ventennale di Soleri nella definizione di questo habitat antropico-naturale alternativo sono le sue Arcologie, proposte nel libro Arcology: The City in the Image of Man del 1969, edito dal MIT (Massachusetts Institute of Technology). Soleri concentra le sue ipotesi ideative sullo scambio energetico, orientato all’evoluzione della materia urbana, contro lo spreco implicito nel consumismo. Le Arcologie, sorta di idee guida, suggeriscono un “ritorno alla terra” in frugali e sostenibili comunità non isolate dall’esterno, ma che ne riducono, in chiave ecologica, la dipendenza. Per le arcologie di Soleri, Antonietta Iolanda Lima parla di un: «processo di interiorizzazione della materia […] la materia si configura in modo da consentire un flusso energetico vitale a favore di una città capace di costruire una neo-natura necessariamente radicata nella geologia»[5]. Arcologia come unione di architettura ed ecologia, architettura ed ecologia come parti di uno stesso processo evolutivo, in divenire. Arcologia come “estetogenesi” della materia. Arcologia come strumento per l’evoluzione della specie umana. Per l’aspetto dell’abitare la roccia le più interessanti sono Arcoindian I, Arcoindian II e Theology. Superando l’idea di un fondale naturale indifferente, Arcoindian I va verso una visione architettonica tridimensionale nella quale natura e architettura si fanno quasi indistinguibili. È una sorta di grotta artificiale aperta alla luce del sole. Assume la dimensione naturale della roccia, della montagna, e la eleva di livello per mezzo dell’intervento antropico. Arcoindian II è una città inserita nelle pareti rocciose, come le dimore dei Pueblo Ancestrali. È eretta sul territorio, invece che diffusa su di esso. Lascia come sfondo una natura incontaminata. Suggerisce una integrazione e reciproca influenza della montagna rocciosa e dell’edificio. Più che un grande edificio, è una neo-città compatta e tridimensionale, compatta in quanto tridimensionale. Lascia libera la natura, le risorse naturali, contro un consumo indiscriminato del territorio. Theology è un’arcologia con caratteri simili ad Arcoindian II. Metro di paragone per Soleri è l’Empire State Building, elemento iconico dal quale marcare la distanza concettuale e progettuale. Il grattacielo è visto come ‘oggetto’ isolato, incapace di relazionarsi con l’intorno naturale. L’arcologia, al contrario, è un’opera sia naturale che antropica, che cerca un rapporto organico con la natura,  senza ‘gigantismo’. È lo stesso Soleri, nel suo testo Edifici alti e gigantismo, a chiarire la questione: «Il gigantismo è una condizione particolare che distrugge la congruenza morfologica di un organismo. […] L’edificio alto è spesso una struttura che diventa troppo grande, anzi, troppo alta per il bene dell’uomo»[6]. La difficoltà «risiede semplicemente ed essenzialmente nel fatto che non si possono progettare e costruire edifici alti al di fuori di un contesto estremamente strutturato, non perché non si possa immaginare un albero al di fuori della foresta, ma per la ragione di gran lunga più incontestabile che il ramo non può essere progettato separato dal tronco. […] L’edificio alto di per sé è puro limbo. È ontologicamente, economicamente e politicamente una pura speculazione»[7]. Per Soleri si tratta di interagire proficuamente con l’ambito naturale, di proporne estensioni organiche capaci di definire un nuovo sistema unitario, formalmente integrato, ecologico, vivente. Sviluppando i concetti di complessità,miniaturizzazione e durata, Soleri propone una “trinità” che muove la materia, anche architettonica, verso lo “spirito”. Soleri vuole creare il più con il meno, fare più cose con meno spazio. La tecnologia viene da lui intesa come mezzo e non come fine, nel rispetto dell’equilibrio ecologico. Propone organismi architettonici che evolvendosi accrescono la propria complessità e al contempo divengono più compatti, come vita che penetra la non-vita. I suoi organismi architettonici sono protesi della natura, che creano un neo-paesaggio tridimensionale. Sono una neo-natura che prosegue la traiettoria dell’evoluzione naturale, un regno di sovra-natura, in comunione con la natura.

 

 

 

NOTE

 

[1] Paolo Soleri, Prefazione a Il ponte tra materia e spirito è materia che diviene spirito in Itinerario di architettura. Antologia dagli scritti, Milano, Jaca Book, 2003, p. 119.

[2] Francesco Ranocchi, Paolo Soleri (1919), Roma, Officina, 1996, p. 20.

[3] Paolo Soleri, La scultura terra in Il ponte tra materia e spirito è materia che diviene spirito in Itinerario di architettura. Antologia dagli scritti, Milano, Jaca Book, 2003, p. 137.

[4] Giancarlo De Carlo, Sulla “luce” dei veri architetti in AA.VV., Ri-pensare Soleri, Milano, Jaca Book, 2004, p. 62.

[5] Antonietta Iolanda Lima, Soleri. Architettura come ecologia umana, Milano, Jaca Book, 2000, p. 210.

[6] Paolo Soleri, Edifici alti e gigantismo in Il Seme Omega: un’ipotesi escatologica in Itinerario di architettura. Antologia dagli scritti, Milano, Jaca Book, 2003, p. 183.

[7] Ibid., p. 185.

 




«la Vita non è altra cosa, per l’esperienza scientifica, che un effetto specifico (che l’effetto specifico) della Materia complessificata»

(Pierre Teilhard de Chardin, Il posto dell’Uomo nella Natura)
    Filippo
    Moretti 
    2019